
Ecco come il modo di interagire coi collaboratori influisce su processi e risultati.
Tu sei il capo. Sei solo. Ti impegni e soffri, ci metti i soldi e rischi, ma nessuno ti ascolta. E per questo sbagliano, sbagliano di continuo. Quante volte ti sei trovato a pensare queste cose? Ecco perché oggi parliamo di leadership, anzi, di stili di leadership. Perché non è giusto essere al comando e non essere capiti, non è giusto aver costruito un piccolo regno e avere sempre paura che tutto possa finire. No, non te lo puoi permettere.
Significato di leadership: portare verso…
La prima cosa da fare è avere le idee chiare, dare il giusto peso alle parole. Cosa vuol dire leadership? È una parola che deriva dal verbo inglese to lead, significa dirigere, portare verso… ed è proprio ciò che vorrebbe fare chi comanda, ma ha bisogno di qualcuno che dica: «Ok, farò come dici tu». Però, attenzione, non esiste un solo stile di leadership. E non è detto che troverai qualcuno disposto ad ascoltarti. Sai perché? Come dice Richard Branson «Il vero leader sa distinguere il pericolo reale dal pericolo apparente». I pericoli apparenti spesso sono solo capricci o finti mostri nati da una distorta visione del reale. Per questo, prima di andare avanti, te lo chiedo: sei un capo o un leader?
Ora è arrivato il momento di parlare dei diversi stili di leadership. E qui si apre un mondo. Daniel Goleman ne ha individuato sei: visionario, democratico, coach, esigente, armonizzatore, autoritario. Ma possiamo individuare anche altri modelli. Per questo cominciamo dalle basi e vediamo prima quali sono le caratteristiche di un leader.
Leadership: ecco le caratteristiche
Il leader è chi ispira le persone. Se c’è un leader ci sono dei seguaci, persone disposte a seguirti per scelta e non per dovere, per incentivi o, peggio, perché minacciati.
Per essere leader bisogna avere due caratteristiche: 1) la visione di un mondo diverso e 2) la capacità di comunicarlo. Un leader non deve solo vedere qualcosa che gli altri non hanno ancora visto, deve farsi seguire, altrimenti si è solo dei visionari. Ecco, quindi, che bisogna puntare sul Perché si fanno le cose. È il Perché a farci vedere un domani migliore, a farci vedere un futuro che va al di là del beneficio immediato. È il Perché a guidare le persone nella costruzione della visione comunicata dal leader. La visione è il punto di partenza, poi comincia il lavoro dei seguaci.
Per capire meglio chi è un leader, tornano ancora utili le parole di Branson: «Il leader che non è all’altezza del proprio compito può trasformare in un inferno la vita di moltissime persone. Il suo ruolo non consiste nell’imporre dall’alto ordini che tutti sono tenuti a eseguire. Quella non è leadership, ma dittatura».
Leadership trasformazionale
Non è esagerato parlare di inferno. Quando hai un numero elevato di collaboratori che molla o che tu stesso accompagni alla porta, è probabile che un po’ di fumo di satana sia entrato nel tempio. C’è quindi bisogno di trasformare il tuo ambiente di lavoro adottando un modello di leadership trasformazionale. In pratica si tratta di influenzare in maniera positiva chi collabora con te. Come fare? Ispirando dipendenti e collaboratori focalizzandoti sui loro bisogni e sulla loro consapevolezza. Insomma, non pensi a scambiare dei soldi per lavoro, ma a far crescere le persone. Non ci vuole la vista lunga per capire che se le persone crescono, cresce anche l’azienda. Perché a crescere è la squadra, è il gruppo che collabora sentendosi sicuro e motivato.
Leadership situazionale
I gruppi, però, sono composti da persone diverse. C’è chi è più timido e chi, invece, è più spigliato. Oppure c’è chi è più pratico e chi più riflessivo. La lista potrebbe continuare ancora, ma ci siamo capiti. Ed allora come coinvolgere allo stesso modo il timido e lo spigliato? Con lo stile di leadership situazionale, cioè adattando la leadership al contesto, alla situazione. Così si valutano i bisogni delle persone coinvolte, le competenze e le mansioni. Come puoi vedere, a prescindere dalle tipologie di leadership, si tratta di stare ben lontani dalla dittatura o dall’inferno paventato dal fondatore di Virgin. Eppure, nonostante i continui fallimenti, sono tanti i capi che continuano a dirigere usando uno stile autoritario ed egocentrico.
Leadership emotiva
È un po’ come in famiglia. «Le dinamiche emotive che reggono un matrimonio si ritrovano con differenze minime in qualunque posto di lavoro – scrive Daniel Goleman –. Spesso le critiche vengono formulate come attacchi personali che come indicazioni per il futuro. A volte si arriva alla denigrazione, condita con generose dosi di disgusto, sarcasmo e disprezzo». Che fare allora? Serve intelligenza emotiva, quindi, empatia. Che non vuol dire «vogliamoci bene», ma saper prendere in considerazione i sentimenti dei dipendenti come parte integrante del processo decisionale. Ma c’è di più: vuol dire anche saper prendere in considerazione i propri sentimenti. Bisogna imparare ad essere innanzitutto leader di se stessi. Infatti l’intelligenza emotiva è composta da alcuni elementi come autoconsapevolezza, autoregolazione, empatia e talento sociale.
Come puoi ben capire, la leadership è un argomento importante ed è fondamentale per raggiungere risultati. È un argomento che deve rientrare nei processi decisionali, ecco perché le certificazioni vi insistono tanto.
Tu sei il capo. Sei solo. Ti impegni e soffri, ci metti i soldi e rischi, ma nessuno ti ascolta. Tu sei il capo. Se vuoi essere ascoltato, ribalta il tuo copione.