
Le certificazioni aiutano a gestire al meglio le risorse disponibili. Riutilizzare gli scarti diventa una strategia fondamentale.
Se ne è accorto persino Papa Francesco: «Il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare».
Della stessa idea è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «L’economia circolare è un modello produttivo che riduce gli sprechi e tutela l’ambiente e perciò può creare un circolo virtuoso di crescita ed essere una opportunità di sviluppo per i paese dello sponda sud del Mediterraneo». Non ne sono altrettanto consapevoli la politica e l’opinione pubblica.
L’argomento l’abbiamo già affrontato intervistando il professor Franco Ferrario: «Bisogna fare qualcosa urgentemente – erano le parole del docente del Politecnico di Milano -. Dobbiamo intervenire attraverso flussi produttivi e logistici, portandoli a diventare sostenibili con scelte consapevoli, nuove tecnologie e organizzazione».
Oggi ritorno sulla questione, ma cerco di andare più in profondità. Perché se è vero che «bisogna intervenire subito», per farlo bisogna cambiare radicalmente approccio.
Convertire lo spreco in risorse
Non ho alcuna intenzione di fare il lavoro del Papa, per cui se parlo di conversione è solo una coincidenza. Ma il nocciolo della questione resta: per cambiare il sistema su cui si basa l’economia lineare, bisogna prima convertirsi, credere cioè in un diverso approccio relativo alla gestione delle risorse. Da questa conversione sarà poi possibile convertire lo spreco in valore.
Dimitto si occupa della certificazione End of Waste, ossia del regolamento che disciplina i criteri per stabilire quando i rottami di ferro, acciaio e alluminio, inclusi i rottami di leghe di alluminio, cessano di essere un rifiuto e diventano nuovamente un prodotto.
Pochi giorni fa, in ufficio, controllavo proprio alcuni documenti relativi a questa certificazione. Mi hanno spinto a riflettere perché, estendendo quest’idea anche agli altri materiali, si potrebbero ottenere risultati lusinghieri in più settori.
Il ruolo dell’Italia
Il nostro Paese potrebbe godere di numerosi benefici. Il primo: abbiamo poche risorse naturali, per cui potremmo ottenere molto valore dalle risorse già utilizzate. E poi, il passaggio dall’economia lineare a quella circolare potrebbe creare nuovi posti di lavoro. A goderne sarebbe sia chi dispone di una media o scarsa qualifica, ma anche chi ha conseguito qualifiche molto specifiche.
Già adesso, parlando del riciclo dei rifiuti secondo uno studio pubblicato da Agi e Censis, il mercato vale circa 23 miliardi. Le imprese coinvolte sono più di 10mila, gli addetti sono più di 100mila e producono un valore pari all’1% del Pil.
Tutto ciò non basta, siamo ancora indietro. E poi c’è il mercato del second hand. Nel 2017, il 48% degli italiani ha venduto o comprato prodotti di seconda mano. Gran parte di questi scambi è avvenuta tramite la rete. Ciò porta ad un’altra riflessione: il mercato circolare coinvolge tutti settori della società e dell’economia, anche quella digitale.
Cosa puoi fare oggi
Puoi, insieme a me, cominciare a pensare a un futuro diverso. Per costruire un futuro diverso, bisogna cambiare approccio nei confronti delle cose. E allora CHIAMAMI. Parleremo di ciò che ci attende e di quale strategia scegliere per far crescere la tua impresa non in base alle risorse, ma all’efficienza.