
La SA8000 non migliora solo la reputazione, ma aiuta ogni azienda o ente a crescere e a valorizzare le risorse interne ed esterne.
Il problema è la tecnologia. Così veloce e dirompente da cambiare le regole del gioco prima ancora di averle apprese. Bisogna fare qualcosa contro la tecnologia. E bisogna intervenire anche nei confronti di quelli che remano contro i nostri piani. Spesso si tratta di persone interne all’azienda. Ecco perché è controproducente seguire idee come quella della Responsabilità sociale d’impresa.
Già, ma cos’è la Responsabilità sociale o Social Accountability, come dicono gli inglesi? È lo strumento che consente il progresso di ogni azienda. Quindi la tecnologia non c’entra niente, anzi. Così come non c’entrano i dipendenti. Molte volte, chi punta il dito verso i dipendenti o verso il contesto, sta solo cercando un capro espiatorio, un modo per coprire la propria miopia imprenditoriale.
Responsabilità sociale d’impresa: ecco cos’è?
Ho appena scritto che la Social Accountability è uno strumento che consente il progresso di ogni azienda. Perché non punta al risultato, ma alle fondamenta di ogni impresa: le persone. E queste sono quelle che lavorano con l’azienda, ma anche quelle coinvolte indirettamente. Non dimentichiamo che ogni azienda opera in un contesto sociale e geografico, non è un’entità astratta che vive di luce propria. La certificazione SA8000 aiuta le imprese a crescere valorizzando le persone che ricadono nel loro ambito. Diritti umani, formazione, salute e sicurezza dei lavoratori sono i punti chiave di questo standard internazionale. Pensare di costruire un’impresa non fondata su questi elementi, vuol dire avere le ore contate. Vediamo perché.
Senza Social Accountability l’impresa non compete
Enrico ha 44 anni. È laureato e ha trascorso molto tempo da ricercatore precario. Lo ha fatto in una università italiana, poi è dovuto fuggire. Ora lavora negli Emirati Arabi e dice: «In Italia lottavo contro il precariato. Qui sono uno dei leader del centro di robotica e progetto futuri sistemi di comunicazione». Enrico Natalizio, racconta il Corriere della Calabria, «è arrivato ad Abu Dhabi nella primavera del 2020 dopo una lunga esperienza da professore ordinario in Francia, un periodo di lavoro negli Usa e un dottorato, con annessi diversi anni da ricercatore precario, all’Università della Calabria». Ho scoperto la sua storia dal feed di Linkedin. L’articolo che parla di lui è stato condiviso così tante volte che è stato impossibile non notarlo.
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Non rinunciare al futuro per un guadagno immediato
Perché Enrico Natalizio non è riuscito a far carriera in Italia? Perché non abbiamo uno scopo. Viviamo orientati dall’ottica del guadagno e non del costruire, per cui una persona in gamba, una di quelle che potrebbe far crescere un’azienda o un ente, viene vista solo come un costo o come uno da sostituire con chiunque costi di meno; o come qualcuno che rompe le scatole perché cerca di scardinare modelli consolidati dal tempo. Già, solo che se non cambiamo noi, sarà il tempo a distruggere i nostri castelli di sabbia.
Pensiamo che gli ideali siano nemici dei profitti, quando invece è vero il contrario. Da dove nasce questo pensiero? Dal fatto che un’ideale non paga subito, ma nel futuro. Quindi noi rinunciamo al futuro per avere un guadagno immediato. Facendo così, però, il futuro non accoglierà ciò che abbiamo costruito ieri. La SA8000 è una certificazione etica. Questa definizione potrebbe essere mal digerita da chi intende fare impresa in un certo modo. L’etica può fare a pugni col profitto. I fatti, però, dimostrano il contrario.
Gli esempi di Gucci e Tod’s
Lo ha capito Gucci, tanto che l’azienda sta puntando «ad un business sostenibile in grado di avere un impatto positivo in termini ambientali e valoriali su quello che è l’ambiente che ci circonda», ha spiegato Antonella Centra in un’intervista al Sole 24 Ore: «L’ambiente – continua l’EVP, general counsel, corporate affairs & sustainability della maison – può essere l’ambiente esterno, cioè verso le risorse che utilizziamo nei processi produttivi, ma anche quello interno, cioè verso la comunità dei dipendenti, ma anche rispetto alla comunità esterna, in altre parole cerchiamo un impatto sociale rispetto a tutta la filiera produttiva, soprattutto un impatto valoriale rispetto ai clienti».
Anche Tod’s ha capito quanto sia importante la responsabilità sociale. I progetti messi in campo sono diversi. Ma confesso che mi hanno colpito le ultime righe di un articolo e se ricordi cosa ho scritto all’inizio di questo Pensamento sarà facile capire perché. Sempre dal Sole: «L’anno del Covid ha avuto un pesante impatto anche sui conti del gruppo, chiusi a -30,4%. Ma quando il Covid sarà solo un ricordo, questo patrimonio intangibile generato da un coerente piano di investimenti in sostenibilità potrà sostenere la ripresa e la crescita. Come ha detto più volte il presidente Diego Della Valle, l’obiettivo di Tod’s è anche dare un esempio alle aziende più piccole, perché tutti possono dare un contributo al loro territorio, che restituisca loro almeno parte di ciò che hanno donato».