
Prosegue il nostro viaggio tra le paure che impediscono di comunicare bene la nostra impresa. Non avere niente da dire è una di queste.
Quando superiamo una paura, siamo contenti. Lo siamo perché finalmente siamo liberi di fare quello che vogliamo.
Superare certe paure da più soddisfazione rispetto al superarne altre. Riceviamo qualcosa in più. Oltre a permetterci di fare quello vogliamo, ci riempiono il cuore e la mente.
Dopo aver affrontato la paura del giudizio, quella dei concorrenti e quella di non avere tempo, oggi ti parlo della paura di non avere nulla da dire. Questo timore è figlio della paura del giudizio e ora ti racconto le obiezioni che la alimentavano e che vivevo in prima persona:
- Chi sono io per dire qualcosa?
- Il mio settore è saturo
- Le certificazioni esistono da tanto
- Alcune società esistono da parecchi anni
- Quello che si poteva dire è stato già detto.
Poi, quando ho iniziato a comunicare, ho scoperto che anche nel nostro mondo – nel mondo delle certificazioni – c’è molto da dire. Ho capito che è importante non solo cosa si dice, ma come lo si racconta. Da questa riflessione è emerso che il mondo delle certificazioni è visto come grigia burocrazia. Io, invece, voglio raccontarlo per come lo vedo, che poi è quello che realmente è: buonsenso multicolor.
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Non ha niente da dire chi guarda nella direzione sbagliata
In ogni settore c’è qualcosa da dire, altrimenti cosa diremmo quando andiamo da un cliente, parleremmo solo del prezzo? Le argomentazioni ci sono, si tratta di quelle cose che diciamo quando conosciamo un nuovo acquirente, quando vogliamo coinvolgere qualcuno nel nostro sogno, quando selezioniamo una nuova risorsa in grado di aiutarci nel portare avanti le nostre idee. Le argomentazioni, inoltre, sono i problemi che risolviamo e i risultati che facciamo raggiungere. Non avere nulla da dire è un pensiero che sorge perché guardiamo nella direzione sbagliata.
Parlare solo degli aspetti tecnici è comunicare a metà
Non dobbiamo parlare di cose che sono state già scritte e dette. Dobbiamo comunicare in modo personale, intercettando i bisogni e le esigenze di chi legge. Solo dopo parleremo delle cose tecniche comunque necessarie. Se saltassimo il primo passaggio, sarebbe come voler vendere una macchina parlando solo del come funziona. E quindi: inserisci la chiave, metti in moto, quando serve fai rifornimento, ricordati di fare manutenzione e via così.
Alla maggioranza non interessa come funziona una macchina, interessano i racconti che ruotano intorno a quell’auto; i viaggi e le scoperte che si possono fare, i bisogni che si possono soddisfare e le cose che sono conseguenza del possedere quella macchina.
Quindi, non dobbiamo limitarci a dire: la certificazione ha una fase 1 e poi 2, ti permette di partecipare alle gare, di ridurre il premio Inail, eccetera. Queste cose le scrivono tutti e le scriviamo anche noi, però bisogna andare oltre, senza limitarci al come fare qualcosa, ma puntare al perché voglio fare qualcosa.
La vittoria più bella
Ecco perché ho deciso di comunicare un messaggio netto: le certificazioni sono strumenti per mantenere un successo durevole, per vincere sfide, per creare progresso.
Facciamo un esempio: se la nostra impresa fosse un ristorante, ogni giorno scriveremmo quali sono gli ingredienti dei nostri prodotti. Ma se comunicassimo solo questo, il messaggio non sarebbe completo. Queste informazioni servono al momento dell’ordine, ma il cuore della comunicazione dovrà aiutare a far vivere un sogno, quello che porta a scegliere di sedersi nel nostro ristorante.
Adattando l’esempio alla mia impresa, chi sceglie Dimitto come partner, lo fa per prosperare e non per sopravvivere. Per questo posso dire che sconfiggere questa paura è stata la vittoria più bella.Ps. Ogni mattina pubblico su Telegram una nota vocale. Parlo di vittorie e di paure, di impresa e di certificazioni multicolor. Ho aperto questo canale vincendo le mie paure, e ogni nota che pubblico è una vittoria. Iscriviti qui, vinciamo insieme le paure.