
Le certificazioni non sono mera formalità, ma una forma di relazione tra aziende e clienti. Una relazione umana che genera fiducia.
La fattoria di mio nonno era un mondo fantastico. Ci andavo ogni estate dopo la chiusura delle scuole. Per me, che venivo dalla città, era un po’ come rivivere il Mago di Oz. Era un luogo pieno di personaggi e di posti incantati: dalle galline ai conigli, dalla stalla alle grandi botti di legno, tutto rimandava a una dimensione diversa da quella che vivevo in città. Eppure era tutto vero. Umano.
Il momento in cui mi sentivo fantastico e vero allo stesso istante, era quando mio nonno alzava il suo bicchiere di vino insieme a un caro amico, zio Santino. Mi piaceva sentire la parola «zio» accanto a quella di amico, per quanto Santino non fosse nostro parente. Brindavano. Era un rito che voleva dire: «Affare fatto, mi fido di te e della bontà delle cose che mi dai». Poi, zio Santino riponeva in una cassetta di legno delle uova e alcune bottiglie di vino e diceva: «Questa è roba sana. Tu nonno è un vero amico». Quel modo di fare aumentava il clima di fiducia che si respirava in quella piccola fattoria. Clima umano in un mondo fantastico.
Le certificazioni sostituiscono l’umanità
Mio nonno e zio Santino non ci sono più. E con loro hanno portato quel fantastico mondo fatto di fiducia e umanità. Ma non hanno portato via tutto. Il desiderio di fiducia, di sentirsi a casa anche quando ci troviamo in un ambiente che non conosciamo, è rimasto vivo. Per questo sono nate le certificazioni. Non mi riferisco solo alle certificazioni degli alimenti. Il concetto di certificazione è valido sempre, sia quando parliamo di vino, ma anche quando parliamo di servizi. L’obiettivo è sempre lo stesso: cerchiamo fiducia. Cerchiamo, anche se in una forma diversa, quella stretta di mano che faceva dire a zio Santino: «Questa è roba buona». Valeva anche per mio nonno. Mi guardava con gli occhi lucidi e diceva: «Nunzio, mi alzo ogni mattina alle cinque». E poi, facendomi vedere le mani consumate dalla fatica, affermava: «In questo vino c’è la mia vita». Le certificazioni, dal punto di vista aziendale, oggi sono quelle mani consumate dal lavoro; sono il modo con cui le aziende possono dire, con orgoglio e non a parole: «Fidati di me».
Le certificazioni del vino
«Una volta, qui, era tutta campagna». È un modo di dire comune che ben si adatta alla fattoria di zio Santino. Era circondata dalla natura. Poi la popolazione è cresciuta e con essa sono aumentate le case le quali hanno fagocitato gran parte di quella campagna. È la stessa dinamica che ha coinvolto i mercati. La globalizzazione ha così ampliato i confini fino a cancellarli. Il rapporto personale di una volta non è più possibile: le certificazioni, quindi, aiutano consumatori e imprese a stringere un nuovo patto di fiducia. Anche la crescita delle aziende non scherza.
In Calabria, ad esempio, ci sono 8.315 aziende vinicole. Immagina se ciascuna di esse potesse vantare, senza alcun controllo, la produzione di vini pregiati. E invece le aziende che producono vino Dop (denominazioni d’origine protette) sono solo nove; dieci, invece, quelle di vino Igp (indicazione geografica protette). Chi si vuole fregiare, ad esempio, delle denominazioni Dop, deve dimostrare di avere caratteristiche che tengano conto delle zone geografiche di produzione, dei vitigni, della tipologia del terreno di coltivazione dell’uva e molto altro ancora.
Anche il tempo influisce in modo determinante. Un altro esempio: per diventare Doc, un vino deve aver mantenuto, per almeno cinque anni, la denominazione Igt (Indicazione geografica tipica). Per passare alla denominazione Docg (Denominazione di origine controllata e garantita), invece, di anni ne devono passare ben 10. Ma non tutti i vini Doc possono diventare Docg, ma solo quelli che superano le analisi organolettiche e chimico fisiche previste dal disciplinare del ministero delle Politiche agricole.
Alla fine ho capito che esistono due tipi di persone: quelli che guardano ai tempi passati con distacco e quelli che ne rimpiangono la ricchezza umana delle relazioni.
I primi sono quelli che vivono ogni forma di certificazione come un fastidioso obbligo burocratico, i secondi siamo noi.
Una stretta di mano
Non ti prometto di far ritornare il mondo di una volta. Ma posso garantirti quel rapporto di fiducia che è alla base di ogni impresa di successo. Chiamami, parleremo insieme di ciò che serve a costruire il nostro futuro.