
Chi migliora si trasforma e chi si trasforma si adatta al contesto. Attenzione: il concetto di miglioramento può nascondere un nemico insidioso.
È tempo di bilanci, ma non è il momento di tirare i remi in barca. Nonostante la crisi, questo è il tempo del futuro.
Da dove partire? Dal miglioramento continuo. Questo prevede l’analisi delle criticità e dei punti di forza. Ma oggi voglio parlarti dei secondi. Certo, bisogna correggere le cose che non funzionano, ma dobbiamo stare molto attenti. Seguendo una errata idea di perfezione, diamo molto più peso alle cose che non vanno, alle cosiddette non conformità, che ai punti di forza. E così ci castriamo da soli, salvo poi dare la colpa alle norme a questo e a quello.
Ed allora, procediamo con i bilanci, ma guai ad usare la parola fine. Bilancio di fine anno, di fine trimestre di fine carriera eccetera. Non sono amante degli inglesismi, ma questa volta uso una parola inglese che ha le stesse lettere di quella italiana, fine, vuol dire bene. Il nostro bilancio deve guardare al fine inglese, al bene. E nel bene c’è anche l’imperfezione. Sai perché? Perché solo avendo a che fare con l’imperfezione possiamo dare il meglio di noi. Sempre che non cadiamo in quella formale idea di perfezione che ci limita. E, purtroppo, quando si implementa un sistema di gestione della qualità si può commettere l’errore di associare la qualità soltanto alla correzione delle cose che non vanno.
Una grande storia, per essere tale, deve avere una impresa da realizzare o un nemico da sconfiggere. Questo nemico è il formalismo, è la burocrazia. Un nemico che ha tanti alleati: coloro che vedono le certificazioni come un fine e non come uno strumento per migliorare.
Quella delle certificazioni è una battaglia al contrario. Non si combatte direttamente contro i nemici. Per batterli bisogna, invece, lavorare sui nostri punti di forza e sulle nostre imperfezioni, ma solo nella misura in cui queste ultime ci aiutano a scoprire il meglio di noi.
L’ho detto più volte, la differenza tra un’azienda e un’impresa è questa: l’azienda è un’onda che ha la consapevolezza di essere onda. Quindi nasce e muore in un arco di tempo determinato. L’impresa è un’onda che ha la consapevolezza di essere mare. Quindi comincia e ricomincia cambiando forma, ma resta sempre mare. Quindi davvero qualcuno può immaginare diventare impresa pensando solo ai difetti, alle carte e alla burocrazia? Dai, siamo seri. Azzerando i difetti non diventiamo perfetti e non faremo nemmeno cose grandi.
Ridurre i difetti deve avere solo uno scopo: renderci liberi di puntare verso i nostri punti di forza.