
Prosegue il percorso sul capitolo 7 della norma. Il PDCA come processo di comunicazione.
Al centro di ogni sistema di gestione della Qualità c’è il cliente. Però a molti sfugge che clienti (interni) sono anche i dipendenti. Quindi al centro del suddetto sistema di gestione, devono esserci innanzitutto questi ultimi. Perché? Perché è dal lavoro del personale che dipende la soddisfazione e la fidelizzazione del cliente finale.
Come si fa a mettere i dipendenti al centro? Con la comunicazione. Lo abbiamo visto la volta scorsa. Abbiamo fatto alcune considerazioni generali sull’importanza della comunicazione e sugli errori più frequenti. Oggi, come promesso, do qualche consiglio pratico.
Il primo è una metafora e ci serve per capire gli altri che seguiranno.
Siamo come dei razzi. Sembriamo belli, dritti e imponenti. Ci vedono anche da molto lontano e ci sentiamo sicuri grazie alla pesante struttura che ci sostiene. Una struttura che ci consente di essere ammirati. Questa è la comunicazione che molti desiderano e che mettono in atto.
Ma questa comunicazione dà più importanza ai vincoli (la struttura che ci sostiene) che agli obiettivi. È un errore, perché si tralascia tutto il resto, cioè la preparazione raggiunta per decollare, i soldi investiti in formazione, tecnologie e materiali. Per difendere il “potere” conquistato, anche con estremi sacrifici, si tiene fermo un razzo destinato a raggiungere le stelle.
Cosa succede quando un razzo parte? Vola verso il suo obiettivo. Bingo! Però si lascia dietro tutti quei vincoli che lo facevano restare in piedi, alto e bello. Per abbandonare quella struttura, serve coraggio. È indubbio.
Questa era la metafora, ora passiamo ai consigli pratici. Sembrano scontati, forse banali, ma per esperienza posso assicurarti che ci vuole coraggio per applicarli. Perché per farlo dobbiamo rinunciare alle nostre vecchie convinzioni e abitudini.
Comunicare col ciclo PDCA
Primo: la comunicazione è un processo, quindi anche per lei vale il PDCA o ciclo di Deming.
Plan, pianifica. Qual è l’obiettivo da raggiungere? Per obiettivo non intendo solo cose del genere «bisogna vendere A o stringere un accordo con B». L’obiettivo è: voglio coinvolgere o sollecitare un impegno? Chiedo un approfondimento o devo convincere? Eccetera. Valutato l’obiettivo devo poi valutare il destinatario: non basta che il mio messaggio sia chiaro, deve anche essere calibrato su chi lo deve ricevere. E poi non si può pretendere che sia quest’ultimo a fare lo sforzo di capire, deve essere chi comunica a fare lo sforzo di essere capito. Quindi, niente testi troppo lunghi e, di conseguenza, sì ai periodi brevi. Attenzione anche al canale da usare: mail, documenti ufficiali o un incontro di persona?
Do, fai. In questo caso il Do consiste nello scrivere concretamente il messaggio o nel parlare direttamente con la persona interessata. Attenzione alle emozioni, a ciò che si prova interiormente. Potrebbe influire sulla comunicazione e farci ottenere l’effetto contrario. Quindi teniamo sempre ben presenti l’obiettivo da raggiungere e il destinatario del messaggio.
Check, controlla. È una fase molto delicata. I più esperti impiegano pochi istanti per valutare. Nella maggior parte dei casi si può impiegare qualche ora o, addirittura, un giorno interno. Non vuol dire che bisogna stare un giorno chini sul messaggio scritto. Significa che il controllo migliore avviene a distanza di tempo, a mente libera. È in quel momento che ci si accorge di aver usato una parola inopportuna o che abbiamo usato più parole del necessario.
Act, agisci. L’azione può avere due momenti. Il primo può essere quello di ricontrollare il lavoro svolto, il secondo momento, invece, consiste nell’inviare materialmente il messaggio o parlare direttamente con i nostri interlocutori. Affare il cui risultato dipende dalle prime tre fasi del processo e da come riusciamo a gestire le nostre emozioni.
Il segreto di una buona comunicazione? Il silenzio
Un altro consiglio pratico si riferisce al silenzio, che non vuol dire stare zitti. In tal caso sarebbe un problema e ne ho già parlato qui. Il silenzio deve essere ascolto. Ascoltare ci permette di capire quando, come e perché comunicare. Siamo in un periodo in cui parlare e scrivere è una necessità. Il punto, però, è che – come dicono Jean Cristophe Seznec e Laurent Carouana – diventa «una diarrea verbale che inonda e inquina il nostro ambiente. La nostra testa è piena dei nostri blateramenti interiori. Commentiamo, giudichiamo o critichiamo costantemente a rischio di non essere presenti a noi stessi e di vivere solo mentre guardiamo la nostra vita, la valutiamo o la commentiamo».
È un concetto forte, ma c’è un aspetto che considero ancora più importante: «Il rischio di non essere presenti a noi stessi». Non ce lo possiamo permettere.