Uno dei pochi aspetti positivi che possiamo individuare in questo periodo, nonostante danni, dispiaceri e preoccupazioni, è di certo l’abitudine al cambiamento. Sarai d’accordo con me: cambiare è difficile e doloroso, ma talvolta meno di quanto pensiamo. Come nel famoso ideogramma cinese, crisi e opportunità sono due facce della stessa medaglia. Affrontare la crisi è diventata, senza accorgercene, una cosa indispensabile. Soprattutto è impensabile non affrontarla.
Occorre agire in fretta in modo da trasformare in opportunità i punti di crisi. Se rifletti, la pandemia ha accelerato e reso più evidenti cose che stavano già accadendo. Ad esempio, lo smart-working, che forse sarebbe giusto chiamare home-working; l’abitudine di ordinare il cibo a casa; l’uso del digitale nelle operazioni burocratiche e nei consumi culturali; il commercio elettronico al posto di quello tradizionale.
Ognuno di questi cambiamenti meriterebbe dedicata non solo una Lunediniana, ma un’inchiesta approfondita. Sono fenomeni che avrebbero fatto il loro corso comunque. Si dice che non si ferma il vento con le mani, ma certamente in condizioni normali avremmo avuto molto più tempo per abituarci.
Questi cambiamenti hanno anche implicazioni positive, ma un colloquio fatto con GoToMeeting, Skype o Zoom, non sarà mai come un colloquio fatto di persona; così come una gomitata non sostituirà mai una stretta di mano. Se lavorassimo tutti e sempre da casa, non solo crollerebbero alcuni settori economici, ma rischieremmo anche di impazzire.
Purtroppo, tra le tendenze e le cattive abitudini che escono rafforzate dall’emergenza, c’è quella per cui nessuno paga più nessuno. Lo Stato paga in ritardo i fornitori e anche quando c’è da liquidare aiuti a singoli e a imprese le cose non vanno meglio. La pandemia ha fornito a molte aziende la scusa per non pagare.
Ovviamente non bisogna generalizzare. Ci sono imprese e singoli che fanno sacrifici per non venir meno alle loro responsabilità e magari non dormono la notte col timore di non farcela. Altri, invece, i soldi li avrebbero anche, ma ne approfittano e dormono benissimo.
In questa fase, la nostra mente – individuale e collettiva – ne esce cambiata. La normalità odierna è il cambiamento continuo finora solo teorizzato, ma non altrettanto praticato. Ora non si può fare altrimenti, tanto che spesso cambiamo senza rendercene conto.
Cosa ci aspetta? Non lo so. Tutti invochiamo gli aiuti dello Stato, misure capaci di ridare fiducia e slancio sia all’economia che ad ognuno di noi. Ma se è difficile un cambiamento continuo per i singoli, lo è ancora di più per l’apparato che ci governa. Vedo buona volontà, ma percepisco che al momento tutti gli interventi servono solo ad alleviare il singolo problema. Manca ancora, ma sono sicuro che arriverà, una Vision capace di intervenire sulle cause e che permetta di guardare ad un futuro pieno di abbondanza.
Sarai d’accordo con me: la cultura del dare la colpa, cioè quella che cerca un colpevole ad ogni costo quando si verifica un problema, serve a poco. Serve solo a farci sentire bene con la coscienza. Per cui diciamo: non sono stato io, non è colpa mia. Questa cultura la troviamo spesso nelle istituzioni, nelle aziende e negli ambienti basati sul dare ordini. E poi, ammettiamolo, è una tendenza umana. Basta leggere i giornali o guardare i talk show televisivi per rendercene conto. Quando troviamo il colpevole e, di conseguenza, attribuiamo le colpe agiamo su aspetti che riguardano la storia, la paura e il passato. Invece dobbiamo spostare il focus sulle aspirazioni, sulla speranza e sul futuro.
La paura di essere incolpati, non solo inibisce l’assunzione dei rischi – pure i più calcolati -, ma blocca anche onesti processi di riconoscimento, identificazione e ammissione delle inefficienze di un sistema. Venire incolpati evoca poi atteggiamenti difensivi che a loro volta rendono ciechi alla realtà oggettiva. Un profondo cambiamento culturale non avrà luogo se si continua a cercare qualcuno da incolpare.
I più fanno molta fatica a lasciarsi alle spalle questo modo di fare. È necessario che tutti, invece di chiederci come agire, ci chiedessimo cosa vogliamo diventare.
Cosa succederà non lo so. Ma è chiaro che bisogna ridefinire un nuovo ruolo per le imprese e per i leader che le guidano. Oggi, come non mai, mettere in pratica le tre P – Persone, Profitto e Progresso – diventa fondamentale. Perché da un’impresa e dai suoi leader ci si aspetta questo: fare da argine per guardare al futuro in modo positivo; per salvaguardare quella democrazia minacciata dalla crisi pandemica in atto; per salvaguardare tutti da una recessione che deve essere affrontata. Innanzitutto a livello globale e dai governi, ma anche da ognuno di noi. Io, tu, tutti dobbiamo abbracciare il cambiamento. Non dobbiamo aver paura.
Bisogna affrontare il cambiamento per evitare una cosa fondamentale: non dobbiamo diventare vittime della depressione.
E se siamo indecisi su cosa fare, un aiuto può venire dal cosa vogliamo diventare. Forse, questo, ci farà fare le giuste scelte.
Buon cambiamento.
Ciao
Nunzio