
Rischiare fa parte della vita, quella personale e quella d’impresa, ma è un’attività che gestiamo male. Ecco perché.
Cominciamo con una domanda: cosa vuol dire rischiare? Vuol dire esistere.
Il rischio, infatti, è connaturato alle decisioni che prendiamo. Anche quelle in apparenza banali come: «Attraverso la strada oppure no?».
È una condizione esistenziale ed esistere vuol dire proprio «star fuori», «essere esposti». Chi si espone rischia, non c’è nulla da fare.
Ma se rischiare fa parte della nostra vita, privata e d’impresa, non lo facciamo mai come si deve. Per cui camminiamo sempre col freno a mano tirato.
Mi spiego: quando interpretiamo la realtà, non lo facciamo sempre in modo oggettivo. La nostra interpretazione è condizionata da bias cognitivi. Li abbiamo tutti, non si scappa. I bias sono distorsioni della realtà.
Quando parliamo di rischio, i bias coinvolti sono tre.
- Avversione alla perdita: la sofferenza per quest’ultima supera la gioia che avremmo per un guadagno della stessa misura.
- Avversione all’incertezza: in pratica vogliamo investire su rischi “sicuri”, cioè quantificabili.
- Bias del senno di poi: a cose fatte tutti siamo pronti a dire: «Lo sapevo che andava a finire così», ma in realtà non sapevamo un bel niente. Quando diciamo «lo sapevo io» è perché stiamo cercando un colpevole.
Ed allora, le aziende (o le persone) che rischiano, perché lo fanno? Uno dei motivi è questo: perché non si rendono conto del rischio che corrono. Giudicano in modo troppo ottimistico le loro previsioni.
Qualcosa di simile avviene con le certificazioni.
Se è vero che siamo avversi alla perdita, allora perché evitiamo il rischio di applicarle al meglio se da queste derivano numerosi vantaggi come:
- risparmio di tempo
- migliore comunicazione interna
- migliore analisi del contesto
- E tanto altro ancora
La risposta? Chi non sfrutta le certificazioni fa una valutazione troppo ottimistica della propria scelta. Non si rende conto del pericolo che corre nel non migliorare. Preferisce la sicurezza del mondo che conosce, pur se statico e limitato, all’insicurezza del seguire un percorso di miglioramento continuo.
E tu, come la pensi?
PS. Sulla gestione del rischio ho organizzato 5 webinar. Il primo è andato online martedì scorso. Non perdere gli altri.
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